L’art. 83 del Decreto Legge n. 18/2020 (c.d. Cura Italia), così come modificato dai successivi interventi legislativi, ha disposto per il periodo dal 9 marzo al 11 maggio 2020 il rinvio d’ufficio di tutte le udienze e la sospensione del decorso dei termini nei processi civili e penali, salvo che per talune poche eccezioni. E’ stato previsto inoltre per il successivo periodo dal 16 aprile al 30 giugno 2020, che i capi degli uffici giudiziari possano adottare misure organizzative – tra cui l’ulteriore rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno 2020 – volte ad evitare assembramenti e contatti ravvicinati all’interno dei Palazzi di Giustizia. Si è giunti così alla cosiddetta fase due anche nei Tribunali, ma la giustizia stenta ancora a ripartire.

In particolare, per il settore penale l’art. 83 cit. ha disposto in modo ampio e generico la sospensione dei “termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione dei provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali”, nonché la sospensione del corso della prescrizione e dei termini di fase delle misure cautelari.

Successivamente, l’art. 221 del Decreto Legge n. 34/2020 (c.d. decreto Rilancio), entrato in vigore il 19 maggio 2020, ha sospeso con efficacia retroattiva il termine per la presentazione della querela dal 9 marzo all’11 maggio.

La finalità di questa disciplina emergenziale è stata anzitutto quella di differire l’attività processuale per impedire il propagarsi dell’epidemia, ma il legislatore ha inteso anche evitare che tale differimento possa produrre effetti pregiudizievoli sui processi, facendo prescrivere o rendendo improcedibili certi reati.

Tuttavia, tali disposizioni suscitano perplessità di legittimità costituzionale, poiché vanno ad incidere su istituti penali di natura sostanziale, in violazione del principio di legalità di cui all’art. 25, comma 2, della Costituzione, e del suo stretto corollario, il principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole al reo.

Infatti, secondo l’opinione prevalente in giurisprudenza e dottrina la prescrizione e la querela hanno carattere sostanziale e non meramente processuale, poiché afferiscono alla punibilità in concreto del soggetto colpevole. Pertanto, eventuali modifiche di tali istituti in senso sfavorevole al reo non possono essere applicate retroattivamente.

In questo senso, il Tribunale di Siena ha recentemente sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 83, comma 4, del D.L. n. 18/2020 nella parte in cui prevede che il corso della prescrizione dei reati, commessi prima del 9 marzo 2020, è sospeso per un tempo uguale a quello in cui sono sospesi i termini per il compimento di qualsiasi attività dei procedimenti penali. La norma censurata di fatto prolunga di 63 giorni il termine necessario a prescrivere un reato, quindi modifica in senso meno favorevole per l’imputato il regime della prescrizione di un reato commesso prima della sua entrata in vigore. Poiché, però, in materia di successioni di leggi penali nel tempo, vige il principio di irretroattività della norma penale sfavorevole al reo, la natura sostanziale della prescrizione impedirebbe che la novellata sospensione possa ritenersi applicabile ai fatti commessi prima del 9 marzo 2020. Nello specifico, il Tribunale ha ritenuto che il carattere di emergenzialità del Decreto Cura Italia non possa essere argomento a supporto della legittimità costituzionale dell’art. 83, poiché il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole al reo non ammette alcuna deroga. Del resto, nemmeno l’emergenza può sovvertire i principi costituzionali sui quali si fonda il nostro ordinamento.

Stesso discorso vale per il differimento dei termini per proporre querela. In pratica, in base alla novella legislativa, se il termine per proporre querela era ancora in corso durante il periodo di sospensione, la persona offesa dispone di ulteriori 63 giorni rispetto all’ordinario termine di 3 mesi. Così, se tale termine era già scaduto nel periodo compreso fra il 9 marzo e l’11 maggio la persona offesa, che era ormai decaduta dal diritto di presentare querela, potrebbe di nuovo esercitare tale diritto a decorrere dal 12 maggio. In questo modo il decreto Rilancio introduce di fatto una rimessione in termini della persona offesa ai fini della proposizione della querela. Si pone così il dubbio se la norma introdotta dall’art. 221 sia costituzionalmente legittima, dato che dispone in via retroattiva una norma vantaggiosa per il querelante ma sfavorevole al reo. Infatti il reo, verso il quale si era ormai estinta la potestà punitiva statuale, si trova nuovamente esposto al rischio dell’instaurarsi di un procedimento penale a suo carico.

In altre parole, anche l’art. 221 violerebbe il principio di irretroattività della norma penale più sfavorevole sancito dall’art. 25, co. 2 della Costituzione.

C’è dunque da aspettarsi che, come già avvenuto in tema di prescrizione, la Corte Costituzionale sia investita di una ulteriore questione di legittimità riguardante l’art. 83, nella parte inserita dall’art. 221.  Non ci resta che attendere la decisione della Consulta: riterrà possibile sacrificare un valore fondamentale, quale il principio di legalità in materia penale, in favore della necessità di far fronte al periodo emergenziale che stiamo vivendo?

Autore: Elisa Ricci