La riabilitazione è un istituto previsto dal codice penale, molto importante al fine di rimuovere alcuni possibili effetti negativi conseguenti a condanne penali (anche risalenti nel tempo) sulla vita del soggetto interessato: ad esempio, come vedremo più nel dettaglio, la condanna per certi reati, in assenza di successiva riabilitazione, può essere causa ostativa al rilascio della patente di guida o del porto d’armi.
L’istituto della riabilitazione è inserito nel codice penale all’interno del capo riguardante l’“estinzione della pena”, anche se si distingue tra le altre cause di estinzione della pena dal momento che l’effetto estintivo non interessa la pena principale, che deve essere stata interamente eseguita o altrimenti estinta (ad es. a mezzo indulto), ma riguarda le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna.
L’art. 178 c.p. dispone infatti che: “La riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti”.
Alcune eccezioni previste dalla legge a tale regola sono quelle per cui la riabilitazione non produce gli effetti estintivi di cui sopra ai fini della concessione del perdono giudiziale (per i minori) e della sospensione condizionale della pena. In tali casi, infatti, il Giudice, anche dopo la riabilitazione, terrà conto della commissione del precedente reato al fine della preclusione alla concessione dei benefici di cui sopra in caso di condanna per un reato successivo.
La riabilitazione è principalmente finalizzata al reinserimento sociale del condannato, mediante l’eliminazione di alcuni ostacoli alla vita di relazione o all’esercizio di attività lavorative, spesso dovuti alle pene accessorie inflitte con la sentenza di condanna (ad es. misure interdittive dai pubblici uffici, da una professione, dalla potestà genitoriale ecc.).
La riabilitazione consente poi la rimozione degli effetti penali della condanna, dei quali il codice penale non fornisce la nozione precisa, ma che la giurisprudenza tende a individuare in tutti quegli effetti pregiudizievoli operanti in ambito extra-penale, soprattutto in campo amministrativo.
Si pensi, ad esempio, al requisito di onorabilità necessario per l’accesso all’albo dei promotori finanziari, di norma escluso in caso di condanne penali di un certo tipo, salvo che sia intervenuta riabilitazione per tali condanne. O all’incandidabilità prevista dal Decreto legislativo 235/2012, meglio noto come Legge Severino, per coloro che hanno riportato condanne definitive per certi reati: l’art. 15 comma 3 della Legge Severino attribuisce alla riabilitazione la capacità di estinguere l’incandidabilità.
Oppure, si pensi ancora all’art. 120 del codice della strada (che disciplina i requisiti morali per ottenere il rilascio dei titoli abilitativi alla guida) secondo cui non possono conseguire la patente di guida – e ciò vale anche per le classiche patenti professionali quali la patente C, D, BE, CE, DE ecc. che si conseguono successivamente alla prima patente – i delinquenti abituali, professionali o per tendenza e coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o a misure di prevenzione nonché le persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico sugli stupefacenti, “fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi”: spesso, quindi, la riabilitazione è un presupposto fondamentale per rimuovere eventuali ostativi posti dalla Prefettura al rilascio di una patente per chi, anche per fatti risalenti a molti anni addietro, si trovi nella situazione sopra indicata.
Ancora, ai sensi dell’art. 11 TULPS, le autorizzazioni di polizia (ad esempio per rilascio del porto d’arma, oppure per esercizi dell’attività ricettiva quali alberghi, pensioni e locande o per esercizi dove si svolgono scommesse) debbono essere negate a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione.
Vediamo, dunque, quando è possibile ottenere la riabilitazione. La disciplina codicistica prevede che sia concessa dal Tribunale di Sorveglianza quando ricorrono le seguenti condizioni:
– siano decorsi almeno 3 anni dal giorno in cui la pena principale è stata eseguita o in altro modo estinta ovvero 8 anni in caso di recidiva aggravata o reiterata, 10 anni per i delinquenti abituali, professionali o per tendenza (il termine si conta dall’ultimo giorno di detenzione in carcere o, nel caso di pene pecuniarie, dalla data del pagamento della somma di denaro. Nel caso di sospensione condizionale della pena, il termine per poter chiedere la riabilitazione decorre dal passaggio in giudicato della sentenza);
– il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta (a tal proposito la Corte di Cassazione ha precisato non esser sufficiente la mancata commissione di altri reati, essendo invece necessario tenere una condotta complessivamente improntata al rispetto delle norme di comportamento comunemente osservate dalla generalità dei consociati);
– il condannato non sia stato sottoposto a misura di sicurezza – eccettuata l’espulsione dello straniero ex art. 235 CP – ovvero alla confisca e il provvedimento non sia stato revocato;
– il condannato abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato (restituzioni, risarcimento del danno, spese di giustizia e per mantenimento in carcere), salvo che dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempierle.
Da ricordare, infine, che nel caso in cui la domanda di riabilitazione venga respinta per difetto del requisito della buona condotta, non la si può riproporre prima di 2 anni. Inoltre, la sentenza di riabilitazione è revocata di diritto se la persona riabilitata commette entro 7 anni dal provvedimento medesimo un delitto non colposo, per il quale sia inflitta la pena della reclusione non inferiore a due anni.
Autori: Filippo Muzzolon e Elisa Ricci
Scrivi un commento